Chi sono e qual è il mio posto nel mondo?

Chi sono e qual è il mio posto nel mondo? 1

Chi sono e qual è il mio posto nel mondo?

 

Una domanda, in realtà due, che ci siamo posti tutti prima o poi ad un certo punto, in un certo momento, della nostra vita.

Rispondere non sembra per niente facile, in queste righe condivido il mio pensiero e la mia esperienza. Un’esperienza interiore più che esteriore, fatta di riflessioni, ragionamenti, turbamenti e conflitti.

Sono Riccardo, viene da dire, ma pensare di essere il proprio nome è un po’ riduttivo in effetti. Il nome ci viene dato e le persone ci chiamano così ma sarà tutto?

A un certo punto della mia vita ho riflettuto sul fatto che io percepisco me stesso in questo corpo, in questo momento e soprattutto percepisco i miei pensieri e i miei stati d’animo. Li percepisco si come elementi di me ma come elementi che galleggiano intorno al mio centro.

Tutti a un certo punto interpretano un ruolo o più di uno. Una vera e propria interpretazione teatrale. Una sfilza di personaggi ognuno con caratteristiche proprie e non di rado in conflitto tra loro.

Per fare un esempio, nel mio caso, c’era il personaggio trasgressivo e anticonformista che odiava il mondo e gli altri esseri umani. Lui amava gli abiti scuri e aggirarsi per le strade con la faccia incavolata.

Ugualmente c’era il tizio intelligente con alcuni talenti e qualche ambizione, tendenzialmente più gentile e disponibile del precedente.

C’era lo sportivo a cui piacevano le arti marziali e andare in bicicletta ecc.

La lista può continuare e penso che sarebbe impossibile elencarli tutti.

A volte le sfumature di uno o dell’altro personaggio si intersecano per qualche momento dando vita a qualcosa di nuovo.

Don’t panic. E’ tutto normale, se hai notato questo dentro di te non devi necessariamente essere ricoverato in psichiatria!

 

La ricerca della propria identità.


Tutto questo fa parte della ricerca della propria identità. Lo possiamo vedere bene nei bambini quando improvvisamente intorno ai 5 anni, chi prima chi dopo, iniziano a mostrare un atteggiamento particolare, preso in prestito da qualcuno che hanno visto da qualche parte o in qualche cartone animato o film.

Magari è una frase: il bambino di 6 anni si avvicina dopo un po’ che non ti vede ed esordisce con: “hey! come butta?” . Naturalmente ti scappa una risata e lui un po’ infastidito “Che c’è?!” .. giustamente è infastidito: abbiamo messo in dubbio la sua identità.

Immaginate di fare un esperimento con un adulto. Magari con il datore di lavoro: arriva con tutta la sua apparenza autoritaria, magari un po’ impettito, con il suo look che caratterizza la sua personalità e il suo ruolo nella società. Vi dice qualcosa di serio, di molto serio e voi lo guardate e iniziate a ridere come se davanti aveste un bambino che recita e si finge adulto.

Penso che anche questa persona se ne risentirebbe. Fondamentalmente è una legge non scritta quella di non mettere in dubbio l’identità e la personalità altrui, e nemmeno mai ci sogniamo di farlo.

E’ giusto così: non abbiamo il diritto di discutere l’identità di una persona, nel migliore dei casi veniamo interpretati come dei folli e allontanati (o probabilmente licenziati se lo fate col capo), nel peggiore invece possiamo perfino traumatizzare l’altro o ferirlo.

Chi sono e qual è il mio posto nel mondo? 2Diverso è quello che ci è lecito fare verso noi stessi. Mettere in dubbio la nostra identità partendo da zero di solito è abbastanza spiacevole.

Non è proprio una gioia rendersi conto di non essere qualcosa o qualcuno che fino a quel momento si reputava naturale ma nel farlo non c’è pericolo perché se ci si è accorti di un identità interpretata e non totalmente vera significa che siamo pronti ed assolutamente in grado di gestirne le conseguenze.

Fondamentalmente chi non si è posto il problema non è nemmeno interessato alla domanda di inizio articolo: chi sono?

 

Chi sono io?

Se dovessi tentare di dare una risposta riassuntiva, sulla base delle mie esperienze e senza la minima presunzione di aver raggiunto una conclusione vera e oggettiva, consapevole dei miei limiti e delle soggettive interpretazioni del problema, direi:

Sono la coscienza al centro di questo “spazio” che chiamo “essere”. Alle cui estremità la coscienza stessa ch’io sono, si condensa e prende molteplici forme. Forme che sono i ruoli, gli atteggiamenti, le sfumature caratteriali, i pensieri, i sogni, le ambizioni, le emozioni e tutti gli elementi che compongono la mia persona. La coscienza ch’io sono è quindi pura percezione immedesimata in diverse forme d’interpretazione.

 

“La coscienza ch’io sono è quindi pura percezione immedesimata in diverse forme d’interpretazione”.


A questo punto del percorso riflessivo sorgono diversi problemi di natura teorica ma anche e soprattutto di natura pratica: oddio e adesso che faccio? quindi qual’è il mio ruolo? e il senso della mia esistenza? qual’è il mio posto nel mondo?!

Ora si, puoi andare nel panico! 

Rispondere a queste domande è un po’ un problema e non ho la presunzione di farlo. Da millenni cerchiamo di venirne a capo. Su queste domande sono nate filosofie e religioni.

C’è chi il giorno dopo essersele poste ha mollato tutto ed è sparito in qualche recesso dell’oriente oppure si è magicamente dissolto su un qualche sentiero sul dorso di una montagna del Nepal.

Quindi se ti stai facendo le stesse domande benvenuto nel club di quelli che non hanno le risposte, non siamo pochi!

Cerchiamo però di tracciare delle linee guida.

Aperta parentesi:

Di tutte le dottrine, filosofie e interpretazioni che ho avuto modo di approcciare sull’argomento ho trovato il mio faro nella notte negli scritti dello Yogi Indiano Paramahansa Yogananda.

Se ti interessa l’argomento ti consiglio il libro “Autobiografia di uno Yogi”, per comprarlo devi fare solo lo sforzo necessario a digitarlo su Google 😉

Chiusa parentesi.

E’ mia opinione che la nostra coscienza per sua natura cerca ciò di cui ha bisogno.

Lasciando per il momento da parte ogni approccio spirituale e rimanendo sul piano del ragionamento e dell’esperienza diretta che ognuno di noi può fare, possiamo facilmente renderci conto che così come una cellula cerca il nutrimento o se ci risulta più limpido: così come l’acqua scende verso il basso sul letto del fiume in funzione della forza di gravità, ugualmente la coscienza cerca ciò che le serve.
Siano queste esperienze, conoscenza o altro, cercherà sempre ciò che le serve.

 

Ma c’è molto altro.


Ovviamente però ci sono alcune complicazioni. La nostra evoluzione come esseri umani ci ha anche riempito di meccanismi totalmente automatici per suscitare il nostro interesse verso determinate cose.

Per esempio ci piacciono gli zuccheri per l’apporto calorico rapido che portano al nostro corpo, ci piace avere il nostro spazio per via della territorialità, è difficile smettere di fumare perché la nicotina produce dopamina nel sistema nervoso, non ci piacciono gli immigrati (ebbene si, nel 2019 ci sono ancora persone che si sentono minacciate da persone con un diverso grado di melanina nella pelle) perché sentiamo minacciata la sopravvivenza dei nostri geni (o meglio sono i geni che si sentono minacciati e ci spingono nella preoccupazione).

Ovviamente sono solo esempi e non sono conclusivi. Fatto sta che non è semplice capire quali siano i legittimi bisogni della nostra parte più autentica e profonda e quali siano invece i condizionamenti dell’evoluzione, della biologia, della società, della famiglia, degli amici ecc.

 

Consapevolezza.


Ciò che fa la differenza ritengo sia il grado di consapevolezza. Una maggior consapevolezza si ottiene sicuramente tenendo gli occhi ben aperti, non di certo accettando dogmi o credenze a prescindere perché ci danno sicurezza.

A tal proposito voglio citare il Maestro Indiano Sri Yukteswar dalle parole di Paramahansa Yoganda:

La vera religione soddisfa le richieste dell’anima, non attraverso la parola ma attraverso la prova. Non ho mai voluto essere così dogmatico da smettere di usare la ragione ed il mio buon senso. Quando incontrai il mio Guru Sri Yukteswar, mi disse: Molti insegnanti ti diranno di credere, poi distrarranno gli occhi della tua ragione istruendoti a seguire solo la loro logica. Ma io voglio che tu tenga aperti i tuoi occhi; non solo aprirò in te un altro occhio, l’occhio della saggezza. All’inizio della mia ricerca spirituale in India rifiutai rapidamente di entrare in una qualsiasi società perché non potevo trovare in essa una verità dimostrabile. Ma quando trovai il mio Guru e questo sentiero, vidi attraverso la mia propria esperienza che funzionava, allora diedi la mia vita per questa causa.”

 

La risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto.

Penso sia molto utile osservare se stessi nell’atto stesso di esistere e perché no, ricorrere alle scoperte scientifiche, alle ricerche delle neuroscienze, dell’antropologia e della biologia per arricchire il nostro vocabolario interpretativo della realtà.

In questo quadro quindi non si risponde alle domande fondamentali della vita con un semplice “42” (se non sai do cosa parlo rimedia e guardati Guida galattica per autostoppisti!) ma si cerca di venirne a capo attraverso l’esperienza stessa della vita.

A questo punto della nostra evoluzione  è chiaro che i ruoli sociali e lavorativi possano iniziare a diventare stretti.

E’ probabile che uno si senta frustrato a dover svolgere qualche attività alienante e assolutamente insoddisfacente per il resto dei suoi giorni ( sono di parte, si era capito? 😀 )

 

Il nostro ruolo nella società.

A tal proposito mi viene da pensare che esistono due tipi di attività che svolgeremo nella nostra vita: le attività per gli altri e le attività per noi stessi.

Il lavoro perfino nella sua forma più deprimente è un attività che svolgiamo per gli altri (oltre che per la pagnotta ovviamente), ogni lavoro contribuisce a tenere in piedi le società complesse che abbiamo sviluppato.

In qualsiasi tipo di società che possiamo immaginare di vivere sarà sempre necessario che qualcuno si faccia carico di un determinato compito affinché qualcun’altro possa trarne beneficio e fare la sua parte con un altro compito.

Per nostra fortuna esistiamo nell’era della tecnologia che sta portando progressi e rivoluzioni incredibili.

Se pensi che i robot ti ruberanno il lavoro sei sulla strada sbagliata, in realtà dati alla mano è dal 1900 che temiamo che la tecnologia ci rubi il lavoro e la sussistenza quando invece sono molti di più i nuovi lavori che le tecnologie richiedono e richiederanno rispetto a quelli che verranno sostituiti.

(Se vuoi approfondire qui e qui)

Basta pensare che c’è chi vive viaggiando grazie ai Social Media o ad un Blog (sto leggendo questo libro che è veramente stupendo!).

Ma questo è un altro argomento.

La tecnologia spazzerà via i peggiori lavori mai esistiti, in linea di massima tutti quelli automatizzabili e forse anche alcuni con una certa dose di creatività (esistono IA in grado di progettare edifici :O )

No, il mondo non va sempre peggio e no non ci stiamo avvicinando a una catastrofe. A tal riguardo ti consiglio vivamente il libro “Fact Fulness“, mi ha cambiato la vita.

 

Troviamo e seguiamo i nostri talenti e le nostre passioni.

Tornando al tema di queste righe possiamo ben sperare che presto ciò che facciamo per noi e ciò che facciamo per gli altri non saranno poi così distanti tra loro.

Allora seguiamo le nostre passioni e sviluppiamo il potenziale dei nostri talenti. Quelli si che sono i desideri più autentici e legittimi della parte più profonda di noi stessi.

Può essere che il mio sogno sia viaggiare ed esplorare il mondo, e può essere che questo desiderio richieda per essere realizzato una lista abbastanza lunga di obbiettivi preliminari da raggiungere: aspetto economico, la lingua, uscire dalla zona di comfort ecc.

Per iniziare a viaggiare servono i soldi e per i soldi serve un lavoro ma chi ha deciso che il lavoro che svolgo debba necessariamente farmi schifo? Penso che l’idea di essere più orgogliosi tanto più annulliamo noi stessi per un lavoro penoso sia un retaggio culturale che possiamo anche cestinare ormai.

 

“Penso che l’idea di essere più orgogliosi tanto più annulliamo noi stessi per un lavoro penoso sia un retaggio culturale che possiamo anche cestinare ormai”.


A volte naturalmente siamo obbligati dalle circostanze e va bene così, facciamo del nostro meglio e gettiamo le basi per ciò che vogliamo realizzare.

 

Rimaniamo nel presente.

Immergendoci troppo nell’obbiettivo finale rischiamo di provare grande frustrazione e rimanere paralizzati di fronte a tutti i limiti e le paure che dovremo affrontare per raggiungerlo.

E’ bene non indugiare in questi pensieri.

In Giappone hanno il “metodo Kaizen” per approcciare problemi complessi: un passo alla volta.

Chi sono e qual è il mio posto nel mondo? 3La frase fatta: “goditi il viaggio” prende una connotazione diversa in questo contesto. Se la nostra Anima ci spinge in una direzione allora è giusto seguirla, al contempo però dobbiamo cercare di apprezzare il qui ed ora.

Penso che la serenità sia un equilibrio tra perseguire degli obbiettivi e arrendersi al presente.

Le cose semplici possono esserci d’ispirazione…

Per ottenere un bel pesco nel mio giardino ho dovuto trapiantare un piantino di pesco (ovviamente 😀 ).

L’obbiettivo è avere un bell’alberello rigoglioso da cui raccogliere frutti succulenti ma se non provo gioia per tutti gli anni che dovrò potarlo e perfino innaffiarlo nella prima fase della sua vita, se svolgo tutti quei passaggi necessari controvoglia, con fatica, come un compito, come un dovere, allora non importa quanto io desideri l’obbiettivo finale.

La mente umana ha un solo assetto temporale e sarà ben difficile svolgere dei compiti per un obbiettivo finale se non abbiamo una gratificazione presente nello svolgere tali compiti.

Ecco perché anche se ho provato to do list, routine quotidiana, task, lunghe liste di obbiettivi e a programmare il mio futuro posso dire con certezza che su di me queste cose non funzionano. Non dico che siano sbagliate per tutti. Ma su di me non funzionano e sono sicuro che non sono l’unico.

 

“Che male c’è nel cercare gratificazione presente durante le attività necessarie per un obbiettivo futuro?”

 

Il mio posto nel mondo


Quindi qual’è il mio posto nel mondo?

Non c’è una risposta definitiva. Se la coscienza è un fluido che sperimenta e osserva le proprie stesse interpretazioni allora è impossibile definire un luogo finito e finale che rappresenti il suo posto nel mondo.

Quello che posso concludere riassumendo questo scritto di oltre 2000 parole ( :O quando inizio non mi fermo più! ) è:

Io sono la coscienza che sperimenta se stessa, questa coscienza ha dei desideri legittimi che sono ciò di cui ha bisogno per la propria crescita, la propria evoluzione e quindi per conoscere se stessa.

Per distinguere i desideri legittimi dai condizionamenti e quindi saperne un po’ di più su noi stessi: l’auto osservazione, l’auto analisi e la comprensione, anche grazie alle scoperte scientifiche, dei meccanismi che regolano le nostre attività umane sono gli strumenti migliori a cui possiamo ricorrere.

Il nostro posto nel mondo è il percorso verso l’obbiettivo a cui la parte più profonda di noi ambisce e il raggiungimento dello stesso oppure la scoperta di qualcosa di diverso durante tale ricerca (le esperienze ci plasmano rivelando nuove parti di noi).

Possiamo prefiggerci delle tappe per quell’obbiettivo ma se non impariamo a gratificarci nello svolgerli la frustrazione ci renderà inermi. Quindi impariamo a trovare il giusto equilibrio tra il viaggiare verso una meta e l’abbandonarci con accettazione al momento presente e a celebrare la vita senza indugiare troppo nei sogni perdendo il contatto con la bellezza del qui ed ora.

Naturalmente non penso proprio che queste righe siano esaustive, ne che rispondano completamente alle domande che ci siamo posti e che ci poniamo ogni giorno.

Di sicuro è un percorso di ricerca fatto di momenti di tristezza e disperazione ma anche di grandi intuizioni e momenti di estasi.

E’ un percorso fatto di brutte esperienze ed errori ma anche di conquiste e momenti di realizzazione.

Se ci poniamo tante domande sulla vita e su noi stessi non dobbiamo pensare di essere sbagliati, ne che siano sbagliati gli altri (quelli della vita ripetitiva e monotona dove la massima preoccupazione è lo scudetto 😀 ), siamo semplicemente diversi.

Anche se qualcuno proverà sempre a dirci cosa è meglio per noi in fondo siamo gli unici a sapere cosa ci serve e se anche non lo sappiamo veramente è bellissimo lottare e sbagliare per scoprirlo.

Mi piacerebbe sapere la tua opinione, se ti va di lasciare un commento, ci scambiamo punti di vista ed esperienze e magari riusciamo a fare qualche passo in più nella ricerca di una risposta che non sia 42! 🙂

Riccardo.