Storia Zen sulla verità e sulla forma
Quella che segue è una Storia Zen tratta dagli insegnamenti del Maestro Buddhista Mazu Daoyi (709 d.c.). Un breve racconto zen che ci porta a riflettere sull’attaccamento alla forma e sulla natura della verità e della realizzazione spirituale.
Quello dell’attaccamento è un concetto molto importante in ogni tradizione spirituale. L’attaccamento alle “cose del mondo” è visto come un limite alla propria realizzazione spirituale in tutte le tradizioni religiose ma spesso mal interpretato.
Molti culti monastici ad esempio hanno nel corso dei secoli deciso di ritirarsi dal mondo, che sia su remote montagne o in edifici chiusi da mura come nei conventi di clausura, così da non generare attaccamento verso i beni terreni, la ricchezza, gli affetti e tutti gli altri aspetti della vita.
Alcuni ordini Sufi comprendono la pratica di fissare per terra mentre si cammina per le vie e i sentieri, così da non permettere alla mente di venire affascinata dalle cose circostanti e potersi quindi concentrare sulla meditazione in ogni istante.
Ad un analisi più attenta possiamo vedere come non solo le cose e le esperienze positive della vita materiale generino attaccamento ma anche, paradossalmente, quelle negative come l’ansia, la paura, le opinioni negative che abbiamo su noi stessi o sugli altri, l’attitudine a lamentarsi, l’ossessione verso gli eventi negativi che accadono nel mondo, ecc.
Alla radice di queste dottrine c’è l’idea che l’attaccamento sia tra le principali cause della sofferenza. L’attaccamento genera aspettativa, genera illusione di guadagno e di perdita, quindi genera paura della perdita, ossessione ed inquietudine. L’attaccamento verso un idea di ciò che dovremmo essere o di ciò che non dovremmo essere può distoglierci dal presente e paralizzarci, impedendoci di compiere le azioni che potremmo compiere per progredire realmente.
Mai come oggi la diffusione dei Social Network ha prodotto bassa autostima a causa dell’elevata aspettativa a sua volta generata dall’attaccamento all’idea di come bisognerebbe essere o fingere di essere per piacere agli altri. A sua volta l’idea di voler piacere costantemente agli altri è anch’esso una forma di attaccamento ad uno stato emotivo, ad una sensazione piacevole.
Ma questo significa che tutte le cose piacevoli andrebbero evitate?
Le esperienze, piacevoli o spiacevoli che siano, non generano di per sé attaccamento. Non sono quindi le esperienze della vita a creare l’attaccamento ma siamo noi stessi nel momento in cui non accettiamo che tutte le esperienze sono temporanee e non durature.
E’ giusto quindi provare piacere nel ricevere un complimento da qualcuno, il problema è quando iniziamo a desiderare di ricevere sempre e solo complimenti e a pensarci inadeguati nel momento in cui questo non avviene: attaccamento all’approvazione altrui.
Nella Bhagavad Gita il concetto di non attaccamento viene spiegato in maniera ancora più approfondita quando Krishna spiega ad Arjuna che siamo chiamati a vivere e ad agire nel mondo e che non sarà isolandoci o rifiutando di agire o rifiutando di svolgere qualsiasi azione o prendere una posizione che compieremo il giusto sentiero. La via è quindi compiere l’azione senza avere attaccamento verso i frutti dell’azione stessa.
Gesù riprese questo insegnamento quando disse “siate nel mondo ma non del mondo”.
Nel corso della nostra ricerca possiamo osservare le infinite sfumature dell’attaccamento. Una di queste è ben espressa nella storia Zen che segue, che può essere riletta più volte e interiorizzata aiutandoci ad osservare noi stessi e le nostre dinamiche interiori.
“La verità senza forma” dai detti del Maestro Nanyue Huairang
Mazi Daoyi dimorava nel tempio di Ch’uan Fa a Nan Yo, dove aveva una capanna per vivere in isolamento e praticare la meditazione. […]
Un giorno Nanyue Huairang andò a fargli visita, ma Mazi Daoyi non prestò attenzione al visitatore. […]
Allora Nanyue Huairang staccò un mattone dalla porta della capanna e prese a strofinarlo, ma Mazi Daoyi continuò a non prestargli attenzione.
Molto tempo dopo, Mazi Daoyi domandò: «Che cosa stai facendo?»; Nanyue Huairang rispose: «Sto strofinando un mattone per farne uno specchio».
Mazi Daoyi disse: «Come puoi fare uno specchio strofinando un mattone?».
Il maestro disse: «Se non si può fare uno specchio strofinando un mattone, come si può diventare un Buddha sedendo in meditazione?».
Allora Mazi Daoyi si alzò dal suo lettino e domandò al maestro: «Che cosa si deve fare allora?»
Il maestro disse: «Se un carro trainato da un bue non si muove, è giusto frustare il bue o il carro?»
Inoltre domandò: «Vuoi sedere in meditazione o essere un Buddha seduto? Se vuoi sedere in meditazione, la meditazione non è né sedere né giacere. Se vuoi essere un Buddha seduto, Buddha non è l’immobilità; inoltre il movimento non si dovrebbe né accettare né respingere. Se ti siedi per diventare un Buddha, non farai che ucciderlo. Se ti attacchi al sederti, non realizzerai mai il Dharma, l’insegnamento»All’udire queste parole, Mazi Daoyi si svegliò (all’insegnamento), si inchinò e domandò a Nanyue Huairang: «Come devo usare la mente perché si confaccia al samādhi (realizzazione) che trascende la forma?».
Il maestro rispose: «[…] Poiché la tua potenzialità si confà al Dharma, dovresti percepire la verità».
Mazi Daoyi domandò: «La verità è senza forma, come può essere percepita?».
Il maestro rispose: «L’occhio della mente può percepire la verità. Ciò si applica anche al samādhi senza forma».
Mazi Daoyi domandò: «La verità è soggetta a creazione e distruzione?».
Il maestro rispose: «Se la verità è percepita come soggetta a creazione e distruzione, formazione e deperimento, non è reale. Ora ascolta il mio gāthā:
[…] Il fiore del samādhi è senza forma,
Come può deperire o entrare in essere?»All’udire queste parole, Mazi Daoyi si svegliò al Dharma della Mente”.
Dai detti del Maestro Mazu Daoyi
Storia tratta da: https://www.pomodorozen.com/zen/la-verita-senza-forma-nanyue-huairang/