Il valore di un esperienza – Racconto Sufi.
Il racconto che segue mi ha fatto pensare al valore delle esperienze altrui. Quante volte da bambino ero entusiasta di una scoperta che avevo fatto e i grandi, senza colpa e in buona fede, smontavano il mio entusiasmo con la classica frase “hai scoperto l’acqua calda”. Un modo innocuo e innocente di rispondere a un bambino eppure capace di privarlo della gioia e dell’entusiasmo della scoperta. Forse perfino in grado di influenzare negativamente la sua autostima nel corso della crescita.
Accade anche tra adulti, qualcuno che conosciamo ci parla entusiasta di qualcosa di cui è appena venuto a conoscenza e che per noi magari è cosa che non riteniamo importante, forse perfino banale e anziché condividere il suo entusiasmo lo priviamo della gioia con un atteggiamento di sufficienza e disinteresse. Così l’amico che inizialmente voleva condividere con noi la sua felicità per l’accaduto si rende conto che noi non diamo alcun valore a tale avvenimento e immediatamente viene preso dalla delusione. Forse arriverà a pensare di essere uno stupido per essersi entusiasmato tanto. A me è capitato anche al contrario.
Mi ha fatto pensare a questo questa storia Sufi trovata questa mattina. A quanto sia importante avere maggior considerazione delle emozioni e delle esperienze altrui, anche quando ci risultano banali o irrilevanti.
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Buona lettura!
L’acqua del paradiso
Nel corso della loro vita da nomadi, Harith il Beduino e sua moglie Nafìsa erano soliti piantare la loro logora tenda dove potevano trovare qualche palma da dattero, qualche ramoscello rinsecchito per il loro cammello, o uno stagno di acqua salmastra.
Erano anni che facevano questa vita e ogni giorno Harith compiva gli stessi gesti: con la trappola prendeva i topi del deserto per via della loro pelle, e con le fibre di palma intrecciava corde che vendeva alle carovane di passaggio.
Un giorno, tuttavia, una nuova sorgente sgorgò dalle sabbie del deserto. Harith si portò l’acqua alle labbra e gli sembrò l’acqua del paradiso. Quell’acqua, che noi avremmo trovato terribilmente salata, era infatti molto meno torbida di quella che era abituato a bere. “Devo assolutamente farla assaggiare a qualcuno che sappia apprezzarla”, si disse Harith.
Si incamminò quindi sulla strada per la città di Bagdad e per il palazzo di Harun El-Rashid, fermandosi solo per sgranocchiare qualche dattero. Portava con sé due otri pieni d’acqua: uno per sé e l’altro per il califfo.
Alcuni giorni dopo raggiunse Bagdad e andò direttamente a palazzo. Le guardie ascoltarono la sua storia e, non potendo fare altrimenti – era questa l’usanza – lo ammisero all’udienza pubblica tenuta dal califfo.
“Comandante dei credenti”, disse Harith, “sono un povero beduino e conosco tutte le acque del deserto, benché sappia ben poco di altre cose. Ho appena scoperto quest’Acqua del Paradiso e ho subito pensato di portarvela perché, in verità, è un regalo degno di voi”.
Harun il Sincero assaggiò l’acqua e, dato che capiva i suoi sudditi, ordinò alle guardie di far accomodare il beduino e di trattenerlo finché non avrebbe fatto conoscere la sua decisione. Poi chiamò il capitano delle guardie e gli disse: “Ciò che per noi è niente, per lui è tutto. Al calar della notte conducetelo fuori dal palazzo. Non lasciate che veda il possente Tigri; scortatelo fino alla sua tenda senza permettergli mai di bere acqua dolce. Poi dategli mille monete d’oro con i miei ringraziamenti per i suoi servigi. Ditegli che lo nomino guardiano dell’Acqua del Paradiso e che dovrà offrirne da bere a mio nome a tutti i viaggiatori”.
Pagina d’origine: http://www.sufi.it/sufismo/Mulla_Nasruddin/acqua_paradiso.htm
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Riccardo