Racconti Spirituali

Conta la sostanza, non la forma – Storia Sufi

Molti lo sanno bene: ciò che conta è la sostanza, non la forma. Ma cosa significa? Quante applicazioni ha questo concetto? Secondo me più di quante normalmente pensiamo. Per avere una vita appagante non conta la bella casa, la bella macchina, il fisico scolpito. Forse queste cose ci aiutano a livello pratico, una casa comoda, una macchina che funziona bene, un corpo allenato e sano ma non è detto che ci rendano una persona felice, perché la felicità dipende al 40% da come noi reagiamo agli eventi e non dalle circostanze in se. Se non ci credi puoi leggere questo articolo: 6 modi scientifici per trovare la vera felicità (su EfficaceMente). Se invece pensi che la tua infelicità sia influenzata da qualcun’altro prova a essere come lo specchio.

Possiamo applicarlo anche agli altri: vediamo una persona vestita elegante, a modo, con un certo fascino e diamo per scontato che sia una persona in gamba, magari anche altruista e poi nel tempo si rivela tutto l’opposto. Ancora una volta la forma ci ha fregato. Nelle relazioni accade spesso.

Spesso chi si avvicina a filosofie spirituali affronta questo concetto, questa diversità tra la sostanza e la forma e inizia ad esplorarlo profondamente. Eppure a volte anche in questo contesto la forma trova ancora il modo di ingannarci. Fa parte della nostra natura, della nostra evoluzione ed è difficile riconoscere i meccanismi della mente.

A questo mi ha fatto pensare questo racconto Sufi trovato sta sera per caso curiosando qua e là. E ho deciso di condividerlo con te. Buona lettura!

L’uomo che camminava sull’acqua

Conta la sostanza, non la forma - Storia Sufi 1

Un giorno un derviscio dalla mentalità convenzionale, prodotto di un’austera scuola religiosa, stava passeggiando lungo un corso d’acqua, completamente assorto in problemi teologici e morali, perché quella era la forma che l’insegnamento sufi aveva assunto nella comunità cui apparteneva. Per lui la religione emotiva corrispondeva alla ricerca della Verità Suprema.
All’improvviso il filo dei suoi pensieri fu interrotto da un forte grido: qualcuno stava ripetendo l’invocazione derviscia. “Non serve a niente”, si disse, “perché quell’uomo pronuncia male le sillabe. Anziché salmodiare YA HU, dice U YA HU …”.
Il derviscio ritenne allora che fosse suo dovere – lui che aveva studiato con tanto zelo – correggere quel poveretto che sicuramente non aveva avuto l’opportunità di essere guidato nel modo giusto, e che probabilmente faceva solo del suo meglio per entrare in armonia con l’idea sottesa nei suoni.
Noleggiata una barca, remò in direzione dell’isola donde sembrava provenire la voce.
In una capanna di canne scorse, seduto per terra, un uomo vestito da derviscio che si dondolava al ritmo della ripetizione della formula iniziatica. “Amico mio”, gli disse, “la tua pronuncia è sbagliata. Mi incombe dirtelo perché è meritevole dare consigli e altrettanto meritevole accettarli. Ecco come devi pronunciare”. E glielo spiegò.
“Grazie”, disse l’altro con umiltà.
Il primo derviscio risalì in barca, molto soddisfatto di aver compiuto una buona azione. Dopo tutto, non è detto che colui che riesce a ripetere correttamente la formula sacra possiede anche il potere di camminare sulle acque? Il derviscio non aveva mai visto nessuno compiere un simile prodigio, ma aveva sempre sperato, per qualche ragione, di riuscirci prima o poi.
Dalla capanna non arrivava più alcun suono; tuttavia, era convinto che la lezione aveva dato i suoi frutti.
Fu allora che udì un U YA pronunciato con esitazione: il derviscio dell’isola si era messo nuovamente a pronunciare la formula a modo suo …
Mentre il primo derviscio era assorto nelle sue riflessioni, meditando sulla perversità degli uomini e sulla loro cocciutaggine nel perseverare nell’errore, i suoi occhi scorsero uno strano spettacolo: il derviscio della capanna aveva lasciato la sua isola e stava venendo verso di lui camminando sulla superficie dell’acqua …
Stupefatto, smise di remare. L’altro lo raggiunse e si rivolse a lui con queste parole: “Fratello, perdonami se ti importuno, ma sono venuto a pregarti di insegnarmi ancora una volta il modo corretto di ripetere l’invocazione, perché ho difficoltà a ricordarlo”.

Origine del racconto: http://www.sufi.it/sufismo/Mulla_Nasruddin/camminava_acqua.htm

Sarei curioso di sapere a cosa ti ha fatto pensare questa storia. Puoi farmelo sapere sui social, se ancora non la conosci questa è la mia pagina facebook.

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Riccardo

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